“L’ arte ha bisogno che venga costruita una tutela giuridica attorno ad essa, informata al principio contenuto negli artt. 33 Cost. e 13 Carta dei diritti UE, e volta a disciplinare sia il momento, per cosí dire, iniziale dell’espressione artistica, legato cioè a quel facere creativo che sfocia in un bene (materiale o immateriale), divenendo opera d’arte (aspetto “ontologico o interno” del diritto dell’arte); sia il momento successivo alla sua produzione, che attiene invece alla sua tracciabilità, prova e commercio, strettamente legato al profilo economico dell’arte (aspetto “esterno” del diritto dell’arte). L’uno senza l’altro comportano il venir meno della tutela, essendo inscindibilmente connessi anche sul piano pratico (e ciò è ancor più vero oggi, se si pensa alla tendenza effimera, concettuale ed immateriale di certa arte contemporanea, che per dar prova della propria esistenza, e diventare quindi tutelabile, necessita di strumenti che ne garantiscano l’avvenuta realizzazione ed autenticità).
[…] L’arte spinge alla riflessione, alla creazione, alla trasgressione, ed è già sufficiente; forse null’altro che questo è l’ arte: uno stimolo, un’idea, un ideale. E il perseguirlo è la sua funzione. D’altronde, credere di essere finalmente riusciti a concettualizzarla vorrebbe dire non amarla, né averla capita, sarebbe come avere la pretesa di poter spiegare cosa sia la fede e cosa voglia dire credere. Ma così come si possono ricavare dei ‘dati comuni’ dal comportamento di un gruppo di fedeli praticanti, e partire da questi dati per cercare di regolare e disciplinare l’aspetto esteriore di tale comportamento, nel momento in cui esso interagisca con gli altri principi dell’ordinamento, allo stesso modo si può fare con l’arte. Ed é questo che si chiede al diritto“.